In breve, per chi non ne fosse a conoscenza, i fatti: una
persona già nota sia alle forze dell’ordine che alla reste assistenziale la
quale (secondo le informazioni disponibili) ha ricevuto una diagnosi di
disturbo borderline, si è reso autore di alcune aggressioni dirette e alquanto
pericolose nei confronti di ciclisti in allenamento nel territorio della
pedemontana friulana.
Le aggressioni, verbali ma anche fisiche, non hanno avuto
per fortuna conseguenze ma non possono essere liquidate con la semplice
spiegazione associata ad un probabile disturbo psichico. Per la precisione, il disturbo borderline è una sintomatologia
nello spettro della personalità caratterizzato da instabilità delle relazioni
interpersonali, dell’immagine di sé e dell’umore e connotato da azioni
marcatamente impulsive. Nel campo clinico la denominazione viene talvolta
utilizzata per definire una classe di sintomi di difficile identificazione che
modifica la relazione della persona con la realtà e ne condiziona i
comportamenti.
Soprattutto, chi ne è affetto adotta una visione negativa
e prevaricante dell’ambiente. In questo caso sembra che la reazione nei
confronti della specifica categoria sia stata causata da un precedente diverbio
che ha probabilmente slatentizzato il sintomo.
Sorvolando sulla necessità di un maggior controllo e
necessità di restrizione per persona che possono essere pericolose per sé e per
gli altri, ciò dimostra che – come anticipato nel precedente intervento – la
strada è luogo di convergenza di più categorie di attori sociali con
caratteristiche e regole proprie e che, in condizioni particolari, non è
possibile assumere tali regole come riferimento per comportamenti di sicurezza.
Le regole formali (Codice della Strada) vengono troppo spesso prevaricate da
quelle informali che in casi parossistici – come quello descritto – superano la
normale possibilità di previsione.
Se i nostri strumenti di previsione falliscono,
inevitabilmente perdiamo la possibilità di gestire adeguatamente le
informazioni ambientali e regolare i nostri comportamenti. Ma tali regole sono
basate sulla previsione di come si comporteranno gli altri, assumendo come
criterio di discriminazione i nostri stessi comportamenti. Senza considerare
che questi possono divergere notevolmente.
Ciò accade anche in condizioni di relativa normalità: se
un utente attraversa un incrocio con il semaforo verde confidando sulla
reciproca valutazione della regola, non considererà che un altro utente può
interpretare in maniera differente la stessa regola o – per variabili
intervenienti come la distrazione – non considerarla affatto. Si crea pertanto
un effetto paradosso (peraltro ben
noto in letteratura) che produce condizioni di pericolo paradossalmente
superiori a quelle che le regole vogliono evitare.
Per tutta una serie di motivi, condizioni come quelle
descritte stanno uscendo gradualmente dalla condizione di anormalità per
divenire situazione sempre più comune: è sufficiente considerare il graduale
aumento della popolazione anziana sulle strade, l’aumento progressivo ed
esponenziale dell’utilizzo di farmaci che hanno la caratteristica di modificare
lo stato di attenzione, la reattività e l’umore, per comprendere come sempre di
più chi utilizza mezzi di trasporto non è nelle perfette condizioni
psico-fisiche che la guida di un qualsiasi mezzo richiede.
Contemporaneamente, si incentivano – sull’onda di una
ritrovata attenzione per l’ambiente – comportamenti eco-friendly (come
utilizzare la bicicletta per recarsi a scuola o sul posto di lavoro) spingendo
sempre più utenti ad utilizzare le strade in condizioni che ne aumentano le
condizioni di insicurezza, in mancanza di adeguamento di regole, controlli
sulle regole e infrastrutture (che non sono ottenibili in tempi brevi).
Come abbiamo più spesso rimarcato nei nostri interventi –
basati sulle conoscenze disponibili e sulle metaricerche effettuate dalla
commissione Psicologia del Traffico di PDS Psicologi dello sport – la modalità
più efficace per garantire per sé condizioni di sicurezza è agire
indipendentemente dal comportamento degli altri, ipotizzando azioni che si
discostano dalle previsioni (anche in maniera parossistica come dimostra
l’episodio citato), che possono non essere confermate.
Traendo tecniche dalle metodologie già ampiamente
utilizzate in altri comparti, come la sicurezza aziendale, queste possono
apparire in qualche complesse e richiedono sicuramente addestramento ma sono le
uniche in grado di garantire risultati efficaci.
Anticipando possibili obiezioni, agire per garantire la
propria sicurezza personale non corrisponde affatto a una sorta di visione
egoistica di un fenomeno che ha caratteristiche sociali. Al contrario –
esattamente come avviene nelle più avanzate forme di gestione della sicurezza
organizzativa – si tratta di una forma di reciprocità poiché il risultato è
quello di abbassare il livello di pericolo reale per tutti gli attori presenti
nell’ambiente.