Ogni anno nel mondo più di 50.000 ciclisti perdono la
vita a causa di incidenti stradali. Un’intera generazione che scompare o non si
affaccia alla vita a causa principalmente di impatti con altri veicoli, poiché
il dato relativo agli incidenti autonomi è trascurabile.
I costi umani, ma anche quelli economici, sono
incalcolabili e non possono più essere accantonati come una inevitabile, per
quanto indesiderata, conseguenza di un mondo che si muove principalmente sulla
strada. Non solo: ciò crea effetti paradossali, esattamente come in altri campi
in cui si intrecciano dinamiche legate alla sicurezza, alla valutazione dei
rischi e ai comportamenti.
Il primo paradosso è una sorta di "doppio legame”
informazionale: da una parte si spinge, attraverso la consapevolezza di temi
come il rispetto dell’ambiente, della natura, della salute individuale e
collettiva, a comportamenti che veicolano all’utilizzo di mezzi eco-friendly,
come appunto la bicicletta. Dall’altra non si adeguano le strutture e le
tecnologie alla progressiva presenza sulla strada di questi utenti. Aumentando
il loro numero, senza modificare le condizioni per la loro sicurezza, si creano
inevitabilmente condizioni di insicurezza.
Il secondo è relativo all’approccio culturale che
pretende di disciplinare i fenomeni restringendo i gradi di libertà su cui gli
individui regolano il loro comportamento, creando norme informali. Un esempio
di norma formale: "con il rosso non si passa”. Un esempio di norma informale:
"se è appena scattato sì”. L’agire sul rispetto della norma, se questa vuole
essere rigorosa, implica una forma di controllo altrettanto rigorosa, che
risulta impossibile. Ciascuno di noi può verificare, anche nei suoi stessi
comportamenti, come (soprattutto nella cultura latino-mediterranea) la norma
informale prevalga sistematicamente su quella formale, grazie al fatto che le
forme di controllo sono insufficienti.
Queste prime riflessioni, unite alla consapevolezza che
le strade, sin dalla loro creazione, hanno lo scopo e sono disegnate per scopi
commerciali, e non per il loisir, e che la presenza di utenti differenti che si
danno regole differenti non può che creare incomprensioni, portano varie scuole
a considerare non solo insufficiente ma paradossalmente dannoso l’approccio che
prevede la minimizzazione del fenomeno attraverso l’azione sulla norma, la sua
conoscenza e il suo rispetto. Infatti, regolare il proprio comportamento sulla
consapevolezza che le norme vengano rispettate e che le regole informali e
spontanee che ciascuno crea per se stesso siano in realtà condivise, porta
all’invalidamento delle previsioni. Un incidente stradale, non corrisponde
all’impatto fra due veicoli, ma all’errata previsione del comportamento di un
altro attore sociale, in un ambiente in continuo cambiamento, quasi sempre con
ritmi superiori rispetto alla velocità di percezione ed elaborazione dei
messaggi.
Come in altri campi, le riflessioni più attuali
considerano la sicurezza come insieme di fenomeni socio-tecnici e valutano gli
approcci classici come insufficienti, se non – almeno in parte – dannosi.
L’associazione di professionisti PDS – Psicologi dello Sport,
ha creato al suo interno un’area che si occupa di sicurezza stradale con
l’obiettivo di integrare studi e conoscenze, modelli e strumenti da utilizzare
sia nell’attività divulgativa sia nei processi di preparazione agli atleti e ai
team. Ha creato un approccio attale che integra competenze che provengono,
oltre che dalla pratica quotidiana dei professionisti, quasi tutti atleti
praticanti o ex-atleti, dalla medicina del lavoro e la psicologia del traffico,
le scienze umane e sociali, oltre che dai comparti tecnologici.
La collaborazione stretta con Treviso MTB ha lo scopo di
divulgare tale approccio e di raccogliere e integrare ulteriori sensibilità e
conoscenze.
ASSOCIAZIONE PDS - PSICOLOGI DELLO SPORT
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