La
L. 41 del 2016 introduce nel panorama legislativo il concetto di "omicidio
stradale”. In altre parole, superando il precedente impianto che in qualche
modo prevedeva solo una responsabilità di tipo colposo per chi provoca lesioni
o morte per effetto di un incidente stradale, viene ora prevista la
responsabilità dei comportamenti ed il giudizio, così come la pena, vengono
commisurati in funzione del "principio psicologico”, vale a dire la
consapevolezza del reo di adottare comportamenti che possano essere
pregiudizievoli per la sicurezza altrui.
Pur
non addentrandoci in tematiche che riguardano giuristi e altre categorie
professionali, va rilevato che la norma – progettata in una fase di ricerca di
consenso politico e sulla spinta di attivazioni emozionali – per quanto da
molti giudicata mal fatta (e in effetti sono previste revisioni e modifiche)
presenta una ulteriore particolarità. Le pene sono estremamente elevate poiché
non è prevista la possibilità dello sconto di pena grazie alle consuete
attenuanti, se non il generico ricorso al rito abbreviato.
Questo
aspetto è in effetti giudicato negativamente dai tecnici ed è oggetto di
revisione. Al di là di ciò, negli incontri formativi e informativi che PDS
conduce in più occasioni, è emersa la scarsa conoscenza del pubblico e
l’interesse che suscita la consapevolezza che una condotta dolosa, per quanto
scebra da volontarietà, possa essere estremamente dannosa su piani importanti,
come quello penale ed economico e quello della condotta di vita, poiché è
prevista la sospensione della patente per lunghi periodi e in alcuni casi
perfino la revoca.
L’argomento
è sicuramente nuovo e non sono disponibili conoscenze sull’effetto deterrente
nei micro-comportamenti automatici che determinano l’evento dannoso e la
relativa magnitudo (come la distanza con cui gli automobilisti determinano per
interagire con gli altri utenti) ma, traslando altri contesti in cui sono noti
dati grazie agli studi della psicologia cognitiva e del comportamento (e
valutando anche direttamente l’interesse o preoccupazione che suscita), è
sicuramente plausibile che possa essere utilizzato per sollecitare riflessioni
che, successivamente elaborate come esperienze vicarie, modifichino almeno in
parte le valutazioni ed i comportamenti.
Nella
nostra cultura, infatti, difficilmente affidiamo il rispetto della norma ad un
censore interno; più facilmente consideriamo la regola solo in relazione alla
possibilità di essere scoperti e sanzionati durante la violazione. Il progressivo
restringimento dei gradi di libertà mano a mano che i codici vengono aggiornati
non ottiene i risultati sperati perché a ciò non corrisponde una adeguata
presenza di controllori e di azioni sanzionatorie. In altre parole, mancando il
controllore, non esiste la norma. E di ciò possiamo avere efficace
dimostrazione circolando su una qualsiasi tratta con qualsiasi mezzo. Così come
possiamo confrontare i comportamenti stradali fra differenti culture, per
accertare come sia prevalente la dinamica sociale su altre variabili.
Se
la consapevolezza di non arrecare danno agli altri non risulta un deterrente
sufficiente per modificare i comportamenti a causa della sospensione del legame
empatico per la particolare interpretazione del contesto stradale in cui
risultano non vincolanti le norme sociali, può esserlo al contrario quella di
arrecare gravi danni a se stesso. Per la psicologia cognitiva, infatti, il
censore interno non può essere eluso ed è sempre presente nelle valutazioni
soggettive, al contrario di chi è demandato al rispetto delle regole formali.
La
commissione Psicologia del Traffico – PDS Psicologi dello Sport ha inserito questo
argomento nella sua consueta e ricorrente attività di divulgazione presso gli
opinion leader (genitori, educatori, allenatori e altre agenzie di
socializzazione), nelle aziende o in conferenze dedicate.