PDS traccia un primo anno di attività dedicata alla
sicurezza stradale. Un anno che ha consentito di accumulare notevole esperienza
non tanto nella raccolta e interpretazione dei dati già abbondantemente
disponibili all’estero, quanto sui canali e le modalità di veicolazione dei messaggi
con l’obiettivo di sensibilizzare gli utenti della strada a creare regole più
coerenti con le reali condizioni di rischio.
«Sin dall’inizio – come spiega il
dott. Luca Libanora, coordinatore della commissione Psicologia del Traffico di
PDS, Psicologi dello Sport – abbiamo
considerato che gli approcci classici, sulla normativa e le infrastrutture, non
solo non siano sufficienti ma spesso finiscano per creare effetti paradosso,
esattamente come accade in altri comparti (ad esempio la sicurezza lavorativa).
Per questo motivo abbiamo cercato di spostare l’attenzione sull’aspetto umano e
ancora di più su quello sociale.
Un incidente infatti,
al di là delle dinamiche che lo determinano, deriva dalla mancata o errata
previsione del comportamento degli altri rispetto al nostro o del nostro
comportamento rispetto a un ambiente complesso, che varia a velocità superiori
alla capacità di stima del nostro sistema nervoso. Ne deriva la necessità di
creare delle regole, da declinare in strumenti pratici e manipolabili, che
mettano in sicurezza le persone indipendentemente dal comportamento degli altri».
Per quale motivo ritiene che gli approcci classici non
funzionano? «Preciso che sono
imprescindibili, ma non si può basare la minimizzazione del fenomeno
dell’incidente stradale sulla fiducia nel rispetto della norma e della modifica
delle infrastrutture. Inoltre, il dibattito che si è creato sta polarizzando
pericolosamente le opinioni delle differenti categorie di utilizzatori.
Ciascuna categoria ritiene di risolvere il problema limitando la libertà
dell’altro e modificandone i comportamenti, ma nessuno è disposto a modificare
il proprio. Ciò si evidenzia non tanto nel rispetto delle norme – che è
condizionato su controlli purtroppo insufficienti – quanto nella creazione di
norme informali, che sono quelle da cui originano i comportamenti automatici
(quelli prevalenti, visto che quando guidiamo non abbiamo la possibilità di
riflettere). Questo in considerazione del fatto che il nostro obiettivo è
decisamente più ambizioso rispetto a quello già importante di aumentare le
condizioni di sicurezza delle categorie deboli in una fase in cui
paradossalmente si creano condizioni di insicurezza… l’obiettivo è agire sulle
giovani leve, intercettandoli nelle scuole, nelle società sportive, nella
relazione fra i pari, nella fase in cui si creano gli stereotipi e gli
automatismi, poiché questi saranno gli utenti della strada di domani, una volta
diventati adulti. In altre parole, insegnando loro a utilizzare strumenti di
sicurezza saranno loro stessi a garantirli per gli altri in futuro».
Parlava di canali di comunicazione… «Quanto ho appena esposto condiziona anche questo aspetto: la difficoltà
di ricevere e dare significato ai messaggi, poiché vengono interpretati in una
visione in cui il problema sia di qualcun altro e sia questi a dover modificare
i suoi comportamenti. In qualche caso abbiamo notato una vera e propria
reattanza e ci dispiace che questa si sia evidenziata più nella categoria dei
ciclisti. Abbiamo pertanto modificato l’approccio, approfittando della nostra
consueta attività professionale, legando la comunicazione alla formazione della
sicurezza nelle aziende, visto che l’incidente stradale è nella maggior parte
dei casi è un incidente professionale.
La comunicazione sulla
sicurezza professionale ha una storia simile a quella stradale, con una
iniziale reattanza da parte degli interessati, nonostante la normativa attuale
– in vigore dal 2008 – sia stata prodotta per minimizzare l’infortunistica
professionale. Oggi i tempi sono più maturi, i lavoratori integrano gli
obblighi e le prescrizioni nei normali processi di lavoro. Legare questi
aspetti alla sicurezza stradale considerandola di tipo professionale – abbiamo
notato – è più agevole rispetto ai canali utilizzati fin qui.
Recentemente abbiamo integrato
la formazione sulla sicurezza stradale in ambito organizzativo (ricordo che la
legge prevede l’obbligatorietà di creare per sé e per gli altri condizioni di
sicurezza) con il tema della L. 41/2016, quella nota come "Omicidio stradale”,
che comporta notevoli – se non eccessive – sanzioni in caso di responsabilità
nell’evento dannoso. In molti casi non ha senso distinguere chi provoca e chi
subisce l’incidente e ciò aumenta notevolmente la probabilità di essere
coinvolti in un’azione penale e risarcitoria, oltre che nella sospensione della
patente e perdita di idoneità professionale. Se i lavoratori interiorizzano
questo aspetto come una qualsiasi prescrizione professionale è più facile
aggirare le normali resistenze ai cambiamenti di comportamento, perché ciò non
è legato alla volizione, e chiama in causa l’azienda e la sorveglianza
sanitaria nei controlli, proprio per effetto della responsabilità prevista dal
Testo Unico sulla Sicurezza».
I risultati di questo approccio sono incoraggianti? «èovviamente presto per dirlo in termini numerici, ma sicuramente abbiamo
aumentato la platea di destinatari del messaggio e l’interesse, anche se questo
– ovviamente – come in un qualsiasi contesto formativo è in buona parte legato
al formatore e ai materiali. Ma ciò che ci ha sorpreso e ci suggerisce di aver
individuato un canale preferenziale è la notevole risposta che otteniamo quando
chiediamo ai lavoratori in formazione di coinvolgere i propri figli,
distribuendo loro il materiale – un opuscolo a fumetti – che abbiamo
predisposto. Notiamo immediatamente un cambiamento di atteggiamento: se nel
primo caso l’interesse è orientato alla conoscenza della norma e alle
conseguenze per il non rispetto delle prescrizioni, a seguito di una maggiore
conoscenza del fenomeno, successivamente, l’interesse è quello di garantire
maggiori condizioni di sicurezza e la possibilità di non essere coinvolti in
incidenti (non solo come vittima) per i propri familiari. Non obblighiamo le
persone a raccogliere i materiali informativi, ma con piacere osserviamo che
non rimane niente sul tavolo e addirittura ce ne vengono continuamente
richiesti di nuovi».
Come reagiscono le aziende a queste attività? «Bisogna parlare ovviamente il linguaggio
organizzativo: per farlo ci siamo legati ad un Ente Bilaterale che supporta
l’attività formativa inserendo i materiali didattici sulla sua piattaforma e
rilasciando attestati che sono validi al fine della formazione non obbligatoria
in tema di sicurezza lavorativa. Inoltre tramite un ente accreditato abbiamo
individuato gli strumenti finanziari che consentono di utilizzare fondi
disponibili per tale attività la quale, agendo sulla prevenzione, viene
premiata dall’Inail con l’abbassamento del premio assicurativo. In altre
parole, l’azienda ottiene un reale risparmio economico che può recuperare per
investimenti o per elevare l’utile di’impresa. Ma non bisogna pensare che
questo sia l’unico motivo di interesse delle organizzazioni: è sicuramente
utile in fase di proposta ma poi, una volta conosciuto l’argomento e legandolo
ad esperienze di cui ciascuno dispone, lo sposano con piacere.
Inoltre, questo
canale ci ha aperto le strade presso le istituzioni: da settembre saremo in
grado di concretizzare molti progetti importanti che finora erano purtroppo
rimasti sulla carta».